Il disarmo per una piena dignità umana. Il magistero pontificio da Pio XII a Francesco

Stefano Di Tondo 14.08.2024  Giappone, 1945. Il mondo conosce il potere distruttivo della bomba atomica. Il Presidente degli Stati Uniti d’America Harry Truman decide di dare inizio alla missione militare che determinò la fine della Seconda Guerra Mondiale. L’aeronautica militare statunitense lanciò i primi ordigni nucleari sulle città di Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto, decretando la morte di oltre 200.000 civili e causando le sequele post-traumatiche dei sopravvissuti al bombardamento. Da allora, il magistero dei Pontefici dedica un’attenzione particolare agli aspetti etici di questo tema, chiedendo più volte il disarmo nucleare e denunciando gli effetti devastanti per l’intera umanità che derivano dall’uso e dal possesso delle armi atomiche da parte delle comunità internazionali.

Nel secondo dopoguerra, il problema relativo all’uso dell’energia nucleare è, secondo Papa Pio XII, un problema imprescindibile per la politica del tempo, un’urgenza da risolvere per il futuro di ogni essere vivente. Nel radiomessaggio del Natale 1955, egli sottolinea che gli esperimenti atomici potrebbero «cagionare una densità di prodotti radioattivi nell’atmosfera, la cui distribuzione dipende da cause che sfuggono al potere dell’uomo, e generare così condizioni assai pericolose per la vita di tanti esseri». Pertanto, consapevole di rappresentare la voce della coscienza universale, egli invita a considerare tre obiettivi: in primo luogo, la rinunzia agli esperimenti con armi nucleari; la rinunzia al loro impiego e l’impiego di un generale controllo degli armamenti.

La ripresa economica, la diffusione del benessere nella società occidentale e l’inizio della decolonizzazione non eliminarono l’orizzonte di un nuovo conflitto mondiale. La gravissima tensione politica dell’ottobre 1962 tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, sfociata con il dispiegamento dei missili balistici sul territorio di Cuba, rappresenta uno dei momenti più critici della Guerra Fredda. Il mondo paventò il rischio di un conflitto nucleare su larga scala. Nel radiomessaggio per l’intesa e la concordia tra i popoli, rivolto ai governanti della terra e a tutti gli uomini di buona volontà, Papa Giovanni XXIII ricordò «i gravi doveri di coloro che hanno responsabilità di potere» per «evitare i terrori di una guerra di cui non si prevedono le terribili conseguenze». I primi timidi segnali di disgelo tra le due grandi potenze, americano e sovietico, non tardarono. All’indomani della presentazione del testo del trattato di non proliferazione nucleare, sottoscritto da Stati Uniti, Regno Unito ed Unione Sovietica il 1° luglio 1968, Papa Paolo VI accolse con favore la decisione dei paesi firmatari sia perché esso è il primo segno di «concordia e collaborazione internazionale», senza le quali non sarebbe possibile la pace, sia perché la sua realizzazione è indice del senso di responsabilità dei governanti (Angelus, 27 agosto 1967).

Un ulteriore sviluppo del tema sulla questione atomica nel mondo è stato caratterizzato dall’approfondimento della dimensione morale da parte di Giovanni Paolo II. Secondo Papa Wojtyla, il futuro del pianeta dipende dall’impegno di persone e comunità nazionali ed internazionali di attuare un rivolgimento morale. Non si può ammettere la guerra come modello alternativo del fare politica e con armi di devastazione di massa. «L’umanità deve fare un passo verso la civiltà e la saggezza» (Discorso, 25 febbraio 1981). Per questo motivo, «Ricordare il passato è impegnarci per il futuro» e impegnarsi per il futuro implica «ricordare Hiroshima [impegnandosi] per la pace in modo definitivo (Angelus, 30 agosto 1981).

La minaccia di un conflitto nucleare è un problema che riguarda la società quanto la singola persona perché evidenzia una questione culturale irrisolta dalla politica. La promozione del disarmo nucleare e l’impegno di incoraggiare la non-proliferazione delle armi nucleari sono due impegni politici strettamente intrecciati con l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare da parte di popoli che decidono di avvalersene a favore dell’ambiente e delle persone più povere. Il magistero di Benedetto XVI e Francesco condanna con fermezza l’uso e il possesso delle armi nucleari, perché minano la fiducia e la stabilità. Considerando gli innumerevoli rischi che potrebbero derivare da un errore accidentale nel loro uso, Papa Francesco, in particolare, guarda con favore «l’adesione e il rispetto degli accordi internazionali» (Messaggio, 21 giugno 2022) unico farmaco possibile per curare due grandi patologie di questo tempo: la logica della paura e l’uso della deterrenza. Da tempo, infatti, l’uso della forza militare, le intimidazioni reciproche e l’ostentazione erodono la bontà delle relazioni internazionali a scapito della pacifica convivenza dei popoli (cfr. Discorso, 10 novembre 2017). Molti storici ritengono, a buona ragione, che l’uso di ordigni nucleari a scopo bellico ha creato un processo irreversibile nel modo di concepire la società, l’economia e la politica dopo il 1945. La corsa agli armamenti non è stata ostacolata del tutto e negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un costante incremento degli investimenti, pubblici e privati, a favore della produzione di armi, sacrificando il desiderio di pace e felicità tanto auspicato in passato.

Nell’era della globalizzazione, in cui i mercati finanziari, i sistemi commerciali e politici sono interconnessi tra loro, appare evidente lo scollamento che emerge tra le politiche degli enti sovra nazionali – e nazionali – con gli interessi vitali delle comunità locali, a partire dai temi sensibili quali la protezione e la sicurezza.

Nel mondo della «Terza Guerra Mondiale a pezzi» (Papa Francesco, Messaggio 1° gennaio 2016), appare evidente affrontare il problema nucleare a partire dal superamento dell’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 per affermare il pieno riconoscimento del «primato della persona umana e della difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza» (Laudate Deum, §39).

Stefano Di Tondo

Fraternità di Putignano/Santa Chiara

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