Francesco in Terra Santa. L’Abbraccio con Bartolomeo e la storica dichiarazione comune

10374894_462130663930419_4431031580117054069_nLuigi Ianzano 28.05.2014  Nel 50esimo anniversario dello storico abbraccio tra Paolo VI ed il Patriarca Atenagora, per la prima volta nella storia della cristianità tutte le Chiese di Terra Santa celebrano insieme: cattolici, greco-ortodossi, armeni, siriaci, copti, abissini ed altre confessioni cristiane. “Facciamo appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l’urgenza dell’ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l’unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell’umanità intera e delle generazioni future”. Cosi Francesco e Bartolomeo I nella Dichiarazione comune, firmata a sugellare il loro incontro privato “pienamente consapevoli di non avere raggiunto l’obiettivo della piena comunione”, ribadendo l’impegno “a camminare insieme verso l’unità” dei cristiani, ricercando pure “un autentico dialogo con l’Ebraismo, l’Islam e le altre tradizioni religiose”.

Francesco e Bartolomeo si sono impegnati a collaborare a “servizio all’umanità, specie in “difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e la santità della famiglia basata sul matrimonio”, per promuovere la “pace” e il “bene comune” e rispondere “alle miserie che continuano ad affliggere il mondo”. Riconoscendo che “devono essere costantemente affrontati la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni”. “È nostro dovere – si legge nel testo – sforzarci di costruire insieme una società giusta ed umana, nella quale nessuno si senta escluso o emarginato”.

Quindi l’emozione di ritrovarsi insieme nel Santo Sepolcro, accolti dai tre Superiori delle comunità Greco-Ortodossa, Francescana ed Armena, che presiedono la Basilica. “E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera”, ha detto Francesco:

“Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte”.

Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua:

“Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vita eterna. Le sue piaghe aperte sono il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia”.

“Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza”:

“Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi ‘i miei fratelli’”.

“Certo, non possiamo negare – ha ammesso Francesco – le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù” e “questo sacro luogo – ha aggiunto ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma”, ma le divergenze “non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino”:

“Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi”.

Poi l’auspicio rinnovato di trovare “una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”.

Infine, il pensiero di Francesco è andato all’intera regione del Medio, “cosi spesso segnata da violenze e conflitti” e a tutti gli uomini e donne del Pianeta colpiti da guerre, povertà, fame, e ai cristiani perseguitati.

“Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non gli domandano se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani! Il sangue cristiano è lo stesso!”.

Le parole del Papa in sintonia con quelle del Patriarca Bartolomeo:

“Questa tomba – ha detto Bartolomeo I – irradia messaggi di coraggio, speranza e vita”. Il sepolcro vuoto indica la sconfitta sulla morte e sul male, non si abbia dunque paura della morte e del male, consapevoli che la storia non può essere programmata. “Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea – ha sottolineato Bartolomeo – di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione”. Infine ci invita a respingere il timore forse più diffuso nella nostra era moderna, la paura dell’altro, del diverso, di chi ha un’altra fede. Bartolomeo ha quindi ricordato come l’incontro tra Paolo VI ed Atenagora, scacciando il timore che aveva tenuto divise per un millennio le due Chiese, “ha mutato la paura nell’amore. Questa è l’unica via affinché “tutti siano una cosa sola”.

Luigi Ianzano
Segreteria e Comunicazione Ofspuglia

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